
Dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, ci ritroviamo a guardare la realtà negli occhi:
stiamo fallendo.
Il limite di 1,5°C non è un obiettivo distante: è un obiettivo che ci sta scivolando dalle mani, ogni anno un po’ di più.
Il Global Carbon Project ce lo dice chiaramente: nel 2025 le emissioni da fonti fossili toccheranno un nuovo record storico.
Altro che decarbonizzazione.
Altro che transizione.
Stiamo ancora accelerando nella direzione sbagliata.
E mentre il mondo discute, litiga, rimanda, negozia su dettagli e cavilli, la temperatura continua a salire.
Non è un’opinione.
Non è un dibattito politico.
È fisica. È scienza. È realtà.
Alla COP30 c’è stato perfino uno stallo sull’ordine del giorno.
Pensiamo bene a cosa significa:
➡ mentre la foresta amazzonica brucia,
➡ mentre i mari si riscaldano come mai prima,
➡ mentre fenomeni estremi devastano intere regioni,
… il mondo non riesce nemmeno a decidere da dove iniziare la discussione.
Non è una critica sterile.
È un dato di fatto.
Ma è anche uno specchio.
Perché la verità è che questo ritardo istituzionale riflette esattamente la nostra lentezza collettiva nell’accettare ciò che va fatto.
I contributi climatici nazionali (NDC) dovevano essere il cuore dell’Accordo di Parigi.
Dovevano crescere nel tempo.
Dovevano segnare una traiettoria di responsabilità.
E invece?
113 Paesi su quasi 200 li hanno aggiornati.
Molti con obiettivi ancora insufficienti.
Molti altri, addirittura, senza un piano.
Possiamo ancora fingere che tutto questo sia normale?
Possiamo davvero continuare a far finta che la nostra vita, la nostra economia, i nostri figli, non paghino un prezzo altissimo per ogni scelta rimandata?
Il Parlamento europeo ha appena approvato un taglio del 90% delle emissioni entro il 2040.
È un segnale forte.
Giusto.
Coraggioso.
Ma fuori dall’Unione Europea, petrolio, gas e carbone crescono ancora.
E cresceranno anche nel 2025.
E allora la domanda è semplice:
Cosa vogliamo fare davvero?
Come cittadini, come professionisti, come aziende, come decisori?
La verità è che non possiamo più aspettare.
Non possiamo più compensare con promesse future ciò che non stiamo facendo oggi.
Non possiamo più delegare la speranza a un vertice internazionale, come se fossero “gli altri” a dover risolvere il problema.
Siamo tutti responsabili.
Siamo tutti coinvolti.
Siamo tutti parte della scelta.
Vogliamo davvero un accordo globale credibile?
Vogliamo che la transizione energetica non sia una parola, ma una direzione?
Vogliamo mettere al centro equità, responsabilità e scienza?
Se sì, allora:
👉 dobbiamo essere più coraggiosi;
👉 dobbiamo smettere di rimandare;
👉 dobbiamo pretendere scelte chiare, non slogan;
👉 dobbiamo agire a livello politico, aziendale, personale.
Non per essere “più verdi”.
Non per moda.
Non per brand.
Ma perché la scienza ci dice cosa fare.
E la politica deve ascoltarla.
E noi dobbiamo pretendere che lo faccia.
Il futuro non si negozia.
Si costruisce.
Adesso.